mercoledì 4 febbraio 2015

Stai tranquilla, io sto bene

"Ti dirò che vivere un'assenza così assoluta, il suo silenzio, nell'incertezza, nella paura di ciò che potrebbe succedergli, senza sapere se sia ancora vivo, ti dirò che questo forse non sono in grado di sopportarlo".
Stai tranquilla, io sto bene. Olivier Adam. minimum fax, 2007

Quando un libro capitato in modo assolutamente casuale sul tuo comodino, un libro che nessuno ti ha consigliato, verso cui hai delle aspettative piuttosto vaghe, suggerite solo da un titolo composto dalle parole più frequentemente usate per rassicurare - mentendo, nella maggior parte dei casi - un apprensivo interlocutore, quando un libro del genere ti tiene incollato alla pagina e si chiude lasciandosi dietro tristezza e tenerezza insieme, beh, direi che è il caso di parlarne.



Claire è un'anonima cassiera di vent'anni, sorride poco, parla poco. Vive coi ritmi scanditi dal rumore dei tasti che preme per fare scontrini alla cassa del supermercato dove lavora. Vive facendo i conti, ogni giorno, con un dolore sordo e paralizzante dovuto all'improvvisa scomparsa, senza apparente giustificazione, di suo fratello Loïc, che un giorno d'estate, a seguito di un litigio con il padre, va via di casa abbandonandola ai suoi perchè e ad un senso di vuoto incolmabile.

Ogni tanto Loïc le scrive. Laconiche cartoline da diversi posti, in Francia, per farle sapere che non l'ha dimenticata: "Stai tranquilla, io sto bene", ti penso, ti abbraccio, ma a casa non torno. Quelle avare righe servono a tenerla in vita, ad aggrapparsi alla flebile speranza di rivederlo un giorno, fino a quando - stanca di aspettare - decide di mettersi in macchina e andarlo a cercare. Attraverso questo viaggio scopre la verità, o meglio la "sontuosa menzogna" dietro cui si cela la verità e, come dopo ogni viaggio che significa scoperta, cose, persone e la stessa Claire non saranno più le stesse.

Grande protagonista di questo romanzo breve e originale, è il silenzio: quello di Loïc, quello delle giornate tutte uguali di Claire, quello di una famiglia composta da un padre indolente, ritratto significativamente di spalle, che si alza e stanco, trascina i piedi fino al piano superiore per evitare un confronto con la figlia, e da una madre apprensiva, che non riesce a nominare il figlio. Il silenzio di sentimenti inespressi, di parole non dette, di risposte che non arrivano, di diverse solitudini che faticano ad entrare in contatto tra di loro.

La prosa asciutta riduce al minimo fronzoli e sovrastrutture, riproducendo quel silenzio nell'assenza di aggettivi superflui, nell'essenzialità delle costruzioni sintattiche che producono immagini vivide al punto che in alcune pagine ci si ritrova a camminare con Claire per le strade di Parigi, o si avverte il soffio del vento che accarezza la spiaggia soleggiata di Portbail. Il ritmo, la punteggiatura, i punti di vista che cambiano, sembrano tradurre il testo in sequenze cinematografiche già ben scandite. Tant'è vero che durante la lettura, senza sapere che qualcuno lo avesse già fatto, mi sono ritrovata a pensare di avere tra le mani una autentica sceneggiatura, salvo scoprire poi che un regista francese, Philippe Lioret, nel 2006, aveva già portato il romanzo nelle sale cinematografiche francesi con il titolo omonimo Je vais bien, ne t'en fais pas.

Non mi resta che vedere il film, augurandomi che sia all’altezza delle aspettative e che riesca a trasmettere la potenza di scelte folli, incomprensibili che si possono fare per amore. Perché nel silenzio della vita di Claire e della sua famiglia, c'è anche e soprattutto amore. - CS

Voto: ★ ★ ★ ★

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