La teoria del tutto è un film biografico su una delle più brillanti menti ancora viventi (quoziente intellettivo tra 160 e 165, si dice): Stephen Hawking, fisico, cosmologo e astrofisico inglese, celebre per i suoi studi sui buchi neri e sull'origine dell’universo, nonostante la grave malattia degenerativa, l’atrofia muscolare progressiva, che lo ha condannato alla completa immobilità dei muscoli e quindi ad esprimersi solo attraverso un sintetizzatore vocale a impulsi cerebrali.
Alla proiezione del film, ho assistito insieme ad altre cinque paia di occhi, che, come i miei, si sono più volte velati di commozione di fronte ad una storia che, senza troppi sforzi, poteva prestarsi come materia grezza per un riuscito pasticcio melodrammatico: un successo annunciato, insomma, dalla crudele malattia che imprigiona i muscoli di Stephen fino a ridurlo ad una larva, ma non intacca la sua lucidità mentale ne' il suo arguto spirito.
Per fortuna, non è andata così. E all'uscita dal cinema, le sei paia di occhi hanno concordato su almeno due cose: la prima, che il film non tratta la malattia di Hawking in maniera compassionevole; al contrario, la sua è una storia di forza di volontà, di speranza e - in fondo - anche di fede; la seconda, che il semi-sconosciuto Eddie Redmayne a cui è toccata la parte dello scienziato, non si è risparmiato affatto nella sua interpretazione, meritandosi pienamente l’Oscar a cui è candidato per una performance all’altezza di Daniel Day Lewis ai tempi de Il mio piede sinistro.
Tuttavia, stasera non ho voglia di parlare del film visto coi miei occhi. Voglio lasciare la parola ad altri occhi, che quella sera erano con me al cinema e pur guardando lo stesso film, hanno incrociato uno sguardo diverso, quello di Jane Hawking, la moglie di Stephen, che ha condiviso con lui il peggiorare della malattia fino alla completa immobilità, dal momento in cui al ragazzo, secondo i medici, restavano solo due anni di vita ai grandi successi e riconoscimenti negli ambienti accademici internazionali. In tutto questo, un matrimonio fatto di mille fatiche e sacrifici, un dottorato in letteratura rimandato per troppo tempo e tre figli cresciuti da sola.
Stephen e Jane si sono lasciati dopo trent’anni di matrimonio, nel 1995.
Durante il film, lo sguardo che si è posato su di lei, le ha dato voce in queste parole:
“Io ho creduto in te. E in me.
Però ad un certo punto mi sono arresa.
Ho sorriso sinceramente quando non riuscivi più ad infilare il maglione da solo e ti ho aiutato, compiacendomi della mia unica presenza utile per te in quel momento, l’ho fatto come fosse un gioco. Lo stesso gioco che facevo in camera con i bambini prima che il tuo degenerante impaccio ti imprigionasse. Solo che tu non eri un bambino, eri mio marito. E non ci ho pensato, allora. Allora eri ancora mio marito, da accudire come tutti i mariti, forse un po’ di più rispetto agli altri. Ed inoltre eri il brillante scienziato di cui mi ero innamorata, che voleva conciliare le forze opposte dell’Universo, le leggi della relatività con i principi della fisica quantistica, l’ordine e il disordine, forse, senza saperlo, aspiravi a conciliare Dio e la scienza, me e te, per dimostrarmi razionalmente la natura del sentimento che ci legava e la sua inevitabilità cristallizzata in una formula matematica.
Adesso, però, sono cambiata. Ti vedo diversamente. E vedo me, dopo tanto tempo mi rivedo. E capisco ciò che mi manca e che mi rende compulsiva mentre passo l’aspirapolvere in sala da pranzo. Mi manca la tua parte sana. Mi manca lo stupore che suscitavi quando cercavi di tradurmi con parole semplici e precise l’armonia delle leggi cosmiche, come fanno i poeti quando cercano di indagare l’essenza della vita per trasmetterla a chi non ha tempo per pensarci. Mi mancano i tuoi tentativi maldestri di provare a ballare con me, i nostri duelli ideologici alleggeriti dalla tua intelligente ironia, e adesso che ci penso mi manca poterti incontrare per caso, per strada e raggiungerti ed essere felice di rivederti, in mezzo alla gente, inaspettatamente. Mi manca essere scoperta da te, mi mancano le tue mani che mi scoprono, sono sempre io che mi rivelo. È necessario che sia così. Tu non puoi raggiungermi. E mi piacerebbe essere accompagnata da te in un posto qualsiasi, in una gita senza meta, tu che guidi e io con la testa fuori dal finestrino lasciando che il vento porti con sé fastidiosi pensieri quotidiani. Adesso mi manca tutto questo. E non c’è più tempo per noi. Perché il nostro tempo, quello mio e tuo, ha sicuramente un inizio e forse anche una fine. Se non lo accettiamo rischiamo di diventare come i tuoi buchi neri che deflagrano su se stessi e alla fine non rimane più niente.
Abbiamo scommesso sulla nostra unione infischiandocene delle scadenze prefissate dalla tua scienza. Mi piace pensare che, forse, abbiamo dimostrato al mondo intero che il tutto si regge sull'amore di due persone che scelgono la vita insieme con tutto il suo, ancora, inspiegabile caos. La legge più banale che possa esistere ma che richiede il percorso più difficile. E siamo stati noi a dimostrarlo. Ma adesso per continuare a vivere abbiamo bisogno di separarci, pur restando uniti, per la famiglia che abbiamo creato, come elettroni e protoni intorno allo stesso nucleo”. CS & AD
Voto (per il film): ★ ★ ★ ★
P. S. Lo sguardo di/su Jane è quello di Angelica Didio e per le sue parole non ci sono stelle che bastino.
Dire che la vostra recensione racchiuda appieno l'essenza di questo capolavoro è riduttivo. Sono riuscito a provare gli stessi brividi di quando ho visto il film per la prima volta (davvero un caso eccezionale! Infatti davanti a finzioni come quelle cinematografiche non riesco ad emozionarmi facilmente, ma quelle poche volte che accade riconosco un gran merito ad attori, registi e crew). Nel magistrale "Sguardo di/su Jane" poi i brividi sono stati anche più intensi: Angelica è stata in grado di dar voce al personaggio per cui ho simpatizzato di più e che a mio parere meritava un ruolo di maggior rilievo. In un universo parallelo dove io faccio parte della giuria di esperti degli Academy Awards, con questo monologo (magari una voce fuori campo su flashbacks) Angelica avrebbe vinto l'Oscar per migliore sceneggiatura originale. Sogni a parte, penso che dopo questo scorcio perfettamente riuscito, chiunque non abbia ancora visto "La teoria del tutto" andrebbe di corsa al cinema per recuperare questa sua pecca! Davvero chapeau ad entrambe!
RispondiEliminaComplimenti per il blog!
Grazie, Gianvito! Di cuore! Riferirò del tuo commento ad Angelica (se non ha già letto!). Spero che continuerai a seguire questo blog e magari a partecipare scrivendo qualcosa di tuo, che sarei più che felice di pubblicare!
EliminaP.S. In un universo parallelo, anche io faccio parte di quella giuria! ;)
Eliminagentilissimo Gianvito, scusami per il ritardo con cui ti rispondo, ma avevo bisogno di sedermi al pc per risponderti...(e questo è anche il mio secondo tentativo di invio...pertanto puoi immaginare quanto sia pratica di tecnologia), inoltre temporeggiavo perchè le tue parole che mi hanno fatto rimanere a bocca aperta in treno mentre le leggevo, provocandomi anche un leggero rossore, meritavano una degna risposta. Scrivere mi pacifica con me stessa, se poi ciò ho scritto suscita emozioni anche in chi non mi conosce, allora posso provare un non trascurabile momento di felicità. E quindi grazie mille, centomila volte per quel momento vissuto in treno che ha inaugurato felicemente la mia giornata.
RispondiEliminaOh, che dolce! Sono proprio contento. Rendere le persone felici è uno dei miei obiettivi giornalieri e mi riempie sempre. Sappi che le mie parole sono molto sincere: in genere non perdo tempo a scrivere cose che non penso, tanto meno a criticare. Apprezzo e sostengo, invece, chi, come te e Cinzia, in punta di piedi e con molta perizia, è in grado di esprimere le proprie opinioni. Al giorno d'oggi, ahimè, è molto raro trovarne. A presto (e alla prossima pillola)! :)
Elimina