lunedì 23 febbraio 2015

Birdman, o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza

Già dai primi quindici minuti Birdman profuma di Oscar.
Lo si sente in quella macchina da presa che percorre frenetica i camerini, i corridoi, le scale, sale fino al terrazzo che si affaccia su Broadway e segue gli attori fino a dietro le quinte, per accompagnarli sul palco, ampliando l’effetto “teatro nel teatro” che caratterizza tutta la pellicola.

E poi c’è la musica, elemento poco trascurabile, che detta il ritmo del movimento e della narrazione.

E Michael Keaton, in boxer, di spalle, a mezz’aria, in posizione da meditazione, con una voce fuori campo roca e grave che gli chiede come siano finiti là.

Già da queste prime inquadrature sappiamo di cosa parliamo quando parliamo di Birdman. Parliamo di Cinema.



La trama è presto spiegata: una vecchia gloria di Hollywood che deve la sua fortuna ad un supereroe cinematografico, Birdman, vuole tornare alla ribalta rimettendosi in gioco, come uomo e come attore, a Broadway, portando in scena un’opera teatrale dai toni diametralmente opposti a quelli degli effetti speciali dei suoi successi.

Da qui prende il via un film particolare, nuovo, che potrà far storcere il naso o provocare quel senso di meraviglia proprio della settima arte, ma che difficilmente lascerà indifferenti.

Pur riconoscendo che, da un punto di vista strettamente emotivo, il film non coinvolge il pubblico in maniera totalizzante, credo di appartenere alla seconda categoria di spettatore che in Birdman o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza, si è lasciato stupire dall’originalità di un modo di fare cinema che finalmente porta nelle sale qualcosa di autentico e innovativo: già solo questo basta alla pellicola per meritarsi appieno gli Oscar per il Miglior Film, la Migliore Sceneggiatura Originale e la Miglior Regia.

Si tratta di un film autoreferenziale, di sicuro; il cinema che parla (male) di sé. Riggan Thompson (Michael Keaton) non è un attore, è una celebrità, frutto di quelle costose operazioni di marketing che producono sogni ad effetti speciali nel mondo incantato di Hollywood. E’ letteralmente perseguitato dal suo alter ego, il supereroe Birdman, che - con fastidiosa insistenza - tenta di riportarlo ai fasti del passato, riprendendo la via dei blockbuster o lanciandosi nei facili successi dei reality.

Ma lui ha bisogno di riscattarsi, per ridare lustro ad un ego messo in crisi da problemi economici e familiari (ha una figlia ex-tossicodipendente, una ex moglie ed una compagna con cui ha un non-rapporto), ma ansioso di (ri)acquistare credibilità artistica e fare il grande salto, ottenendo l’approvazione della critica che ha potere di vita e di morte per chi calca le scene.

Il testo teatrale che sceglie è una robetta niente male: Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, tratto da Raymond Carver. Ora, chi ha letto Carver sa che si tratta di quanto più lontano possibile da mondi fantastici e superpoteri: è il maestro del minimalismo americano, ritrae uomini e donne nelle loro miserie e solitudini quotidiane; nonché attira la curiosità delle menti più sofisticate, per non dire snob, che non si fanno scrupolo di stroncare, senza mezzi termini e con sorprendente cinismo, chiunque si improvvisi conoscitore degli impervi sentieri del teatro, soprattutto se proviene dalla profana feccia di Hollywood.

L’arte contro l’industria cinematografica, il teatro contro il cinema, New York contro Los Angeles. Un antagonismo che si riflette anche nel rapporto tra i due protagonisti dello spettacolo in allestimento: per mettere in scena il suo Carver, Riggan ingaggia un attore che ha fatto di Stanislavskij la sua personale divinità, Mike Shiner (Edward Norton), cultore della verità assoluta sul palcoscenico, con conseguenze imprevedibili anche per lo stesso Riggan.

Tuttavia, nel gioco delle parti, i ruoli si invertono e Mike che cerca ossessivamente la verità sul palco, finge con tutti nella vita, mentre Riggan che ha fatto della notorietà la sua ragione di esistere, cerca di liberarsi dalle “etichette” che gli sono state appiccicate addosso durante la sua carriera fino a compiere una scelta estrema che finalmente lo porterà sulle prime pagine delle prestigiose riviste di spettacolo.

Da un punto di vista strettamente cinematografico, di Birdman resteranno impressi i dialoghi brillanti e sagaci; la recitazione intensa di un invecchiato Keaton che, in assenza dello Stephen Hawking di Redmayne, avrebbe meritato a pieno titolo la statuetta come migliore attore; le sequenze da capogiro, sospese tra realtà ed immaginazione in una New York che si presta nel ruolo a lei più congeniale di set cinematografico; il ritmo vibrante scandito dalla batteria nei lunghi piani-sequenza e la scena cult in cui Riggan attraversa di corsa una gremita Times Square, in mutande, per guadagnare l’ingresso sul palco in tempo per la scena madre che lo consacrerà al successo.

L’immagine che lo spettatore porterà con se’, invece, è il sorriso finale di Sam che ha ritrovato suo padre ed un epilogo aperto, che nel bene e nel male, ha il sapore di libertà. - CS

Voto:  ★ ★ ★ ★ ★

4 commenti:

  1. La trama di Birdman non poteva essere meglio riassunta e commentata: queste sono state le ragioni principali per cui ho avuto smania di vedere il film per poterlo giudicare in vista del "mio fatidico" giudizio da Academy Awards. Due mondi , teatro e cinema, a cui il mio cuore è tanto legato da somatizzare, nel senso metaforico del termine, proprio il dissidio che porta Riggan a vacillare, dubitare della sua vita e delle sue scelte (a proposito "la compagna con cui ha un non-rapporto" è la migliore definizione sentimentale dei nostri giorni). La regia e le scelte di fotografia, però, sono gli aspetti che più mi hanno conquistato. Proprio quell'inizio frenetico, disordinato, libero e discinto non può che coinvolgere un amante del teatro di Broadway come me. Anche Emma Stone, ha dato un contributo non indifferente alla buona riuscita di Birdman: gli sguardi penetranti, mix di passione e narcotici, sul tetto del teatro (una delle location più suggestive di sempre) rivolti a Mike, davvero racchiudono l'anima fugace e presente di questo personaggio, a cui penserò ogniqualvolta giocherò (magari con un'Emma Stone a NYC) a "truth or dare".

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  2. Grazie, Gianvito. Che belle parole! Birdman a parte, ti auguro di non perdere mai la freschezza e l'entusiasmo della tua giovanissima età perché è anche di questo che il mondo ha bisogno. Al prossimo commento, giurato! P.S. Lo sai, vero, che anche io sono pazza di Broadway?

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