mercoledì 4 febbraio 2015

American History X

Venice Beach. Derek Vinyard, leader carismatico di una banda di skinhead dediti ad atti violenti e vandalismo nei confronti di neri, ispano-americani ed asiatici, esce dal carcere dopo aver scontato una pena di tre anni per il barbaro omicidio di due balordi di colore che avevano cercato di rubargli l'auto.

Nello stesso giorno Danny, fratello minore di Derek, che vive nel mito delle sue gesta eroiche, consegna al suo professore, una tesina dall'eloquente titolo, Mein Kampf.

Attraverso una suggestiva narrazione per flashback in bianco e nero, il film ricostruisce un sofferto percorso di rinascita di un uomo che, nella tragica esperienza del carcere, rimanendo vittima dello stesso odio e della stessa violenza che fino ad allora erano il suo credo, ritrova la smarrita dimensione di umanità e cerca di impedire a tutti i costi al fratello di intraprendere una strada senza ritorno.
C'è redenzione nel film, ma non c'è lieto fine. Perché entrambi capiscono (Derek si fa crescere i capelli e rompe con il passato; Danny riscrive la sua tesina, stavolta intitolandola American History X e dedicandola agli eventi che hanno portato il fratello in carcere) quando è troppo tardi, ed entrambi pagano un prezzo altissimo per essersi lasciati risucchiare in un vortice che non concede possibilità di sopravvivenza.

Siamo negli Stati Uniti che hanno assistito qualche anno prima al pestaggio in diretta di Rodney King, tassista afroamericano fermato per eccesso di velocità e picchiato violentemente dalla polizia di Los Angeles, episodio che accese un rumoroso dibattito nell'opinione pubblica.

Non si può certo dire che il film ricorra a toni edulcorati per trasmettere il messaggio universale che il cinema ha fatto proprio in diversi anni e diverse pellicole, e cioè che l'odio genera odio, inesorabilmente. Anzi.

Sebbene a rischio di provocare nelle menti più fragili un insano desiderio di emulazione, è proprio mettendo in scena la violenza che se ne comunica la brutalità, l'accecamento a cui porta, rendendo l'uomo simile alla bestia.

Protagonista indiscusso, l'odio permea gesti, parole, immagini. Non ha un colore; non è nero, bianco, giallo. Divide e accomuna, allo stesso tempo, gruppi di giovani che riconoscono nella propria pelle e nei propri tratti somatici l'appartenenza ad un razza che inibisce ogni possibilità di integrazione con chi è "diverso". E' spesso espressione di dolore, di sofferenza (Derek ha perso il padre, pompiere, per mano di un nero) ma non per questo trova giustificazione, né si perfeziona in una vendetta finale che restituisce giustizia.

Un film "forte", accusato da molti di eccesso di didascalismo per la pretesa di impartire una lezione "morale" per molti versi ovvia. Accusa del tutto ingiustificata, a mio parere, perché non c'è eccesso nella condanna spietata dell'odio e della violenza.

Un momento di poesia lo si vive nella scena finale: il tramonto su un mare calmo che con le sue onde lambisce un angolo di spiaggia, tra nuvole che si disperdono nel cielo, è il tempo della quiete dopo la tempesta, il tempo della riconciliazione nelle parole di Abraham Lincoln: "Non siamo nemici, ma amici. Non dobbiamo essere nemici. Anche se la passione può averci fatto vacillare, non deve rompere i profondi legami del nostro affetto. Le corde mistiche della memoria risuoneranno quando verranno toccate, come se a toccarle fossero i migliori angeli della nostra natura".

Consigliato perchè è un film che fa riflettere, forte della sua portata "didascalica" e che, da un punto di vista strettamente cinematografico, avrebbe meritato qualche riconoscimento in più, sia per Edward Norton, candidato all'Oscar per la sua interpretazione di Derek Vinyard, che per regia e fotografia, curate entrambe da Tony Kaye. - CS

Voto: ★ ★ ★ ★ ★

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