lunedì 22 febbraio 2016

Ruggine americana

"Guardi il sole e ti sembra tuo invece tramonta dietro quelle colline da quindicimila anni - dall'ultima era glaciale".

Ruggine americana, Philipp Meyer, 2009.

Grande protagonista mai nominato del romanzo, il Sogno Americano si è ridotto in frantumi a Buell, Pennsylvania, dove un'acciaieria, ormai dismessa e abbandonata, incombe come un'infausta ombra sul destino degli abitanti della grigia cittadina.

Tra questi, Isaac English, vent'anni, cervello di un genio, ma niente college: non ha superato il trauma del suicidio di sua madre, e dopo aver cercato di imitarla, salvato in extremis dall'amico Billy Poe, sogna di andar via, verso la California, a costruirsi un futuro o a cercare di scacciare i demoni del passato, abbandonando un padre invalido a causa di un incidente in fabbrica. 

Sua sorella Lee, invece, il coraggio di scappare lo ha trovato: ora vive a Yale, ha sposato un ragazzo di buona famiglia e a Buell non ci mette più piede dalla tragica fine della loro madre. 

Billy Poe è una mancata promessa del baseball nazionale, troppo rissoso e attaccato a sua madre Grace, con cui vive in un container, dopo che suo padre se l'è svignata abbandondandoli a se stessi. 

Grace è una donna sfatta dalla vita, ma ancora attraente; lavora in fabbrica, e annega la sua solitudine in qualche bicchiere di troppo quando torna a casa, di sera, nel freddo pungente di inverni che sembrano non voler finire. Solo Buddy, poliziotto, la aiuta forse ad amarsi un po' di più, prendendosi cura di lei e del suo ragazzo.

Quando la svolta sembra arrivare e le vite di Isaac e Poe prendere direzioni diverse dalle rovine del glorioso passato industriale di Buell, un sanguinoso episodio di violenza che culmina nella morte di un barbone interviene a deviare il corso degli eventi e quello che doveva essere il viaggio dei due amici verso la libertà, diventa una fuga per la sopravvivenza per Isaac e un tunnel senza apparente via di uscita per Poe.

Le vite piatte e anestetizzate dallo scorrere sempre uguale dei giorni di un'intera comunità vengono sconvolte e tutti gli abitanti del microcosmo di Isaac e Poe sono costretti a confrontarsi con se stessi e con delle dolorose prese di coscienza che si rivelano quasi catartiche e aprono la via ad un finale che si stenta ad assimilare ad un happy ending, ma lascia intravedere una seconda possibilità di redenzione.

La scrittura di Meyer è una rivelazione, in tempi di triste scarsa originalità: pulita, senza eccessi e compiacimenti, scorrevole, viva. Quando Isaac cammina nei boschi di sera, o Poe torna a casa senza giacca, sotto la neve, avvertiamo i cespugli che ci graffiano le gambe e il freddo che ci paralizza e ci rende livide le braccia nude. Su un palcoscenico fin troppo crudele, il narratore rimane sempre in disparte, lasciando libero spazio ai singoli personaggi che ci offrono il loro punto di vista, alternandosi nella narrazione, a dimostrare che non esiste una sola e assoluta verità.

Se questo libro fosse una canzone, sarebbe senz'ombra di dubbio The River di Bruce Springsteen. Anche a distanza di quarant'anni. Perchè anche qui, come nel testo della canzone di quasi quarant'anni fa, si parla di disillusione e amarezza, di desiderio di fuga, voglia di riscatto e fallimento; anche nel romanzo ci sono giovani e meno giovani senza speranze; anche nelle storie di Buell, Pennsylvania, come nelle parole di Springsteen, un sogno che non diventa realtà è una bugia o qualcosa di peggio. Anche qui c'è un fiume che scorre e si è portato via il futuro.

"Scrutò il fiume, le acque torbide, le cose sotto la superficie. Strati diversi e vecchie schifezze sepolte nella melma, pezzi di trattore e ossa di dinosauro. Non hai toccato il fondo ma non sei nemmeno a galla. Hai tanta confusione in testa. Per cui fai il bagno a febbraio. E freghi i soldi al vecchio. Ti sembra di essere via da giorni ma saranno al massimo un paio d'ore; fai ancora in tempo a tornare indietro. No. C'era di peggio che rubare, raccontarsi bugie, per esempio, sua sorella ed il vecchio erano dei fuoriclasse in quel campo, si comportavano come se fossero gli ultimi santi sulla terra.

Tu invece hai preso da tua madre. Resta qui e il manicomio non te lo leva nessuno. Il tavolo da imbalsamazione. La passeggiata sul ghiaccio a febbraio, il freddo sconvolgente. Mozzava il fiato, ma non ti sei mosso finchè non lo hai sentito più, così era scivolata lei. Resisti un minuto e poi inizi a scaldarti. Una lezione di vita. Saresti affiorato solo adesso, ad aprile; il fiume si riscalda e le cose che vivono dentro di te in silenzio, senza che lo sai, sono quelle a farti tornare a galla". (pag. 13)

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